Se Freud tornasse tra noi sarebbe ancora …“freudiano”? Se, nel paesaggio epistemologico e culturale dei nostri tempi, potesse usufruire delle conoscenze acquisite dalle neuroscienze, ripeterebbe ancora i suoi asserti sull’inconscio, la pulsione, la libido, la rimozione? Oppure, riconoscendo che i suoi rudimentali, appena intravisti, neuroni sono cosa assai diversa da quelli che conosciamo, non si troverebbe nella necessità di ripensare la sua “macchina psichica”?
Un saggio ammonimento di Whitehead avverte che “una scienza che esita a dimenticare i propri fondatori è persa”. La psicoanalisi non ha fatto tesoro di questa avvertenza e, collocando Freud sull’altare del tempio domestico, ha preferito pensarsi come scienza a sé, separata dal concreto fluire delle scienze e delle conoscenze.
Una riflessione e una discussione, poco riguardose della diplomazia, sui temi cruciali della teoria e della tecnica psicoanalitica sono assai importanti non solo per la psicologia e la cultura, ma anche, forse, per la sopravvivenza stessa della disciplina.
Questo spazio di studio, ricerca e discussione, contro ogni dualismo, assume che la mente è una realtà emergente dall’interazione di due sistemi complessi: il sistema fisico cervello e il sistema costituito dalle interazioni tra le menti. Ambedue sono sistemi biologici e si collocano necessariamente in un orizzonte storico e, dunque, certo in una catena di funzionamenti fisico-chimici sempre uguali a se stessi, ma anche in un flusso di eventi variabili e irreversibili, che determinano ogni volta uno tra numerosi possibili futuri.
Seguendo questo filo sembra necessario esplorare il territorio in cui costruire una teoria della soggettività e dell’intersoggettività, verificando la possibilità di riformulare in modo più coerente con le esigenze scientifiche e filosofiche del nostro tempo le nozioni di inconscio, coscienza, intenzionalità e di ripensare in questo contesto anche l’ agire clinico e tecnico.