Ebbene, proprio come alla fine degli anni ’70, sembra necessario tirare la linea, per stabilire sul piano epistemologico, metodologico e concettuale le relazioni e le modalitàdi determinazione dell’ADESSO da parte dell’ALLORA.
Il racconto e l’interazione di ogni Sara avvengono nell’ADESSO della seduta e della vita, ma trovano valenza clinica in rapporto agli eventi e alle narrazioni dell’ALLORA. La teoria classica con la sua articolata architettura di congetture riguardanti la genesi, lo sviluppo, la struttura e il funzionamento dell’apparato, forniva:
a. la cornice e lo spazio logico in cui collocare e rendere intelligibili le narrazioni, le “azioni” e, sotto forma di transfert, anche le interazioni di Sara;
b. un set di regole di trasformazione per leggere le differenti modalitàdi determinazione del passato rispetto al presente;
c. una giustificazione del metodo perchéera la stessa architettura di congetture a giustificare la triade interpretazione-insight-cambiamento.
Non possiamo più contare su tale giustificazione perchéla mente èciò che fa il cervello e il cervello non funziona al modo in cui pretendeva l’apparato freudiano. Non si puònemmeno contare sui dati relativi all’efficacia, perchéil “verdetto di Dodo” avverte che le terapie funzionano, ma non per i motivi per cui pretendono di funzionare. Dunque l’efficacia non puògiustificare nessuna delle teorie che governano la pratica.
Al posto della robusta “continuitàpsichica” possiamo disporre soltanto di una più labile “continuitànarrativa” o “biografica”che, però, dal punto di vista psicoanalitico, èanche il luogo dell’auto-fraintendimento e dell’auto-inganno. Possiamo contare anche sulla piùsolida “continuità organismica”, che ci rassicura garantendo la natura essenzialmente storica di ogni organismo vivente, ma èdi scarsa utilitàsul piano operativo perché ben poco puòdirci riguardo al modo in cui l’“ADESSO” di Sara dipende dai suoi ’“ALLORA”. L’oggetto, il compito e lo scopo di una teoria generale è infatti questo: spiegare, tramite una rete di ipotesi suscettibili di controllo, il modo in cui avviene la determinazione dell’ “ADESSO” da parte dell’ “ALLORA.
Questo compito non puòessere demandato néalle neuroscienze, in una riedizione del riduzionismo ottocentesco, néa una pura ermeneutica dei significati (mentalismo) néa una ossessiva classificazione statistica delle conseguenze di ogni possibile evento come il comportamentismo cognitivista ha fatto diventare di moda e come il revival del concetto di trauma rischia di reintrodurre in psicoanalisi. Non alle neuroscienze, il cui oggetto éla spiegazione del comportamento in quanto determinato dalla struttura e funzionamento del substrato neurale. Esse hannno l’onere di spiegare la natura prima e il modo in cui essa, nella deriva evolutiva, ha imparato a supportare la natura seconda, ma non possono spiegare quest’ultima, che si pone come l’oggetto principe del mondo 3 (Popper). Quanto alla nozione di trauma ècerto che un evento puòdeterminare un ADESSO, ma nel senso che puòinfluire sull’organizzazione del sistema impattando con i processi e le regole di relazione e organizzazione di quel sistema, che appunto dovrebbero essere oggetto della teoria. Proprio questo è il compito specifico della psicologia, che studia il comportamento di un soggetto, che emerge dalla deriva evolutiva in una precisa situazione storica e culturale. Più specificamente èil compito della psicologia clinica, che dopo un secolo e piùdi psicoanalisi e di pratica clinica, possiede una massa non trascurabile di conoscenze, inferenze, generalizzazioni e concettualizzazioni, che pertengono, però, a orizzonti teorici discontinui, falsificati (teoria freudiana dell’apparato), pertinenti a territori teorici disparati o mediati da ambiti non coerenti tra loro come accade per i dati delle neuroscienze o per quelli dell’infant research e della tradizione bowlbiana e neo-bowlbiana.
Non so tirare la linea, ma negli anni impiegati a scivere “La mente del corpo” ho esplorato il territorio di una costruenda teoria soggettuale e intersoggettuale dell’azione del soggetto, individuando i punti chiave, che la conformazione del territorio candida a essenziali punti di orientamento per la sua costruzione, e conducendo una prima raccolta dei dati che possono fungere da indicatori del percorso. Da questo lavoro ho tratto la convinzione che, dopo 40 anni di traversata del deserto, la formulazione di una nuova teoria generale sarebbe impresa possibile, se non ci fosse una nutrita serie di ostacoli da superare.
Il primo e piùgrave ostacolo èla convinzione degli analisti che non ci sia necessitàalcuna di tale teoria, che il ventaglio di teorie di cui disponiamo sia ampio, ricco e adeguato. La seconda difficoltà, affine alla prima, èla consolidata convinzione che la seduta sia contemporaneamente il luogo della cura, della ricerca e della prova, che i dati della seduta siano dei veri “dati”e che, dunque, la teoria clinica sia autosufficiente, autofondata e persino empiricamente costruita e validata.
Questi ostacoli di tipo, direi, ideologico sono difficilmente superabili, ma, nel contempo, sembra essersi addolcito quello che fino a tempi assai recenti era lo scoglio più insormontabile. I rapaportiani fallirono nel loro tentativo di riformulazione a causa della nozione di fantasia inconscia, che sembrava indispensabile per la spiegazione dell’intenzionalità inconscia. Gill e Klein, che a quel concetto non sapevano rinunciare, si consegnarono alla Scilla mentalista, mentre Rubinstein, con la sua impostazione neometapsicologista e neurofisiologista, finì nelle braccia della Cariddi riduzionista. Oggi, per quanto non se ne parli, èancora così. Nel panorama della psicoanalisi degli ultimi decenni, infatti, le avanguardie intersoggettive e relazionali hanno raccolto la bandiera dell’alternativa psicologica, sollevata da Klein e Gill. A essi si contrappongono quanti, cercando un sostituto biologico sostenibile per la falsificata biologia freudiana, si raccolgono dietro la bandiera, che fu di Rubinstein, impugnata in modo esplicito dalla neuro-psicoanalisi e da quanti si affidano in modo diretto alle neuroscienze.
Alla radice del problema, c’era proprio l’assenza nell’armamentario concettuale di Freud della nozione di soggetto, che lo costringeva a risolvere il problema della continuità del vissuto in termini psicologici alti e, dunque, in termini di continuità psichica e in termini di desideri, fantasie, intenzioni inconsce. Questa necessità oltre che al mentalismo porta anche a un paradosso logico. Se per spiegare il comportamento di Maria introduco sotto qualche forma un’intenzione inconscia, sto introducendo “intelligenza” per riempire i buchi di non conoscenza a riguardo del processo reale, che genera il comportamento che sto spiegando. Questa intelligenza introdotta nella testa di Maria si rivela una proiezione, dell’intelligenza, che emerge in Maria come effetto dell’azione e del funzionamento della sua totalità, cioèdell’insieme dell’attività del suo sistema organismico-soggettuale. Se, nella costruzione della teoria e nella spiegazione del comportamento di Maria, tale effetto della totalità di Maria è considerato causa di uno specifico comportamento, si èimplicitamente provveduto a miniaturizzare la totalitàdi Maria e a collocare questa piccola Maria omuncolare tra i processi, che dovrebbero determinare proprio l’effetto che mi ripropongo di spiegare. In sintesi, si ètrasformato l’effetto in causa e la totalità – mentalizzata e omuncolarizzata – in un pezzo del processo.
La nozione di soggetto puòfarci scivolare indenni tra mentalismo e riduzionismo consentendo di riconoscere che la contrapposizione, per oltre mezzo secolo considerata insanabile tra biologia (pulsione) e relazione (soggettivitàe intersoggettività), rispecchia, una caratteristica essenziale dell’oggetto stesso di una psicologia clinica. Tale oggetto non puòessere, infatti, se non l’azione umana soggettiva e intersoggettiva, che, assunta nella sua complessità, esige la coniugazione, in un modello unitario, della natura prima e della seconda, della linearità e della circolarità, dei processi e dei significati.
La nozione di soggetto consente l’assunzione di un punto di vista organismico in grado di supportare una teoria dell’azione che, situata nella deriva evolutiva sia per quanto riguarda la selezione dei geni sia per quanto riguarda la selezione dei memi, puòconnettere l’analisi processuale dal basso con l’analisi della narrativa dall’alto. La prova del nove della praticabilitàdi questo approccio èdata dalla possibilità di impostare in modo nuovo il problema dell’intenzionalitàinconscia, superando lo scoglio della fantasia inconscia e il suo insuperabile rimando mentalistico. Non ho il tempo e lo spazio concettuale per descrivere il modo in cui questo ostacolo possa essere superato. Basteràosservare che tutti gli organismi dal paramecio allo scimpanzé, sono intenzionali e lo sono senza bisogno alcuno di formulare intenzioni. Homo appartiene alla classe degli organismi soggettuali e ne condivide le caratteristiche e le funzioni. Egli, grazie alla lingua, sa formulare e costruire simbolicamente intenzioni riflesse, esplicite e comunicabili, exattando, direbbe Gould, l’intenzionalitàpiù ampia dell’organismo. Il fatto peròche egli possa esprimere intenzioni consapevoli non implica che tutte le sue azioni presuppongano un’intenzione. Poggiando su quanto la ricerca neuro-psicologica ci ha consentito di apprendere sul sistema delle emozioni, sul suo ruolo nel processo di valutazione\attribuzione di significato, sulla sua continua attivitàdi scansione dei pattern percettivi in entrata e dei risultati dell’azione in uscita, è possibile pensare a una intenzionalità senza intenzioni. Si puòcioéipotizzare che la costante processazione in sequenze di valutazione-previsione, in ragione di un significato corporeo ed emozionale, costituisca il nostro meccanismo organismico-processuale di guida nella costruzione del mondo e del me nel mondo e la matrice da cui emergono le effettive intenzioni sia quelle dette e formulate in modo consapevole sia quelle non dette, che innervano silenziosamente il comportamento e le azioni. Questo elementare meccanismo è intenzionale nel senso che seleziona e sceglie in rapporto al risultato. Un osservatore esterno potrebbe anche descrivere l’azione conseguente in termini di intenzioni o di fantasie. Per esempio, la percezione di una certa contrazione dei muscoli facciali, che riattiva la memoria di uno stato del corpo sperimentato, può innescare un’aspettativa emozionale negativa e motivare inconsapevolmente un’azione di evitamento. Tutta la sequenza èfacilmente descrivibile con un enunciato del tipo “quando x allora y”, dunque con una teoria o fantasia, che tuttavia sarebbe propriamente effetto, non causa dell’azione del soggetto.
I dati e gli elementi che consentono di riformulare in termini processuali nériduzionisti némentalisti il problema dell’intenzionalitàinconscia permettono di sperare di porre rimedio anche alla perdita del piùsostanziale vantaggio della teoria classica, andato perduto nelle concezioni teoriche correnti. La maggior virtùdella teoria classica consisteva nel fatto che essa disponeva di una rete di concetti (carica, controcarica, fissazione, condensazione, spostamento, rimozione, regressione, isolamento…) sufficientemente bassi, neutri e lontani dal vissuto esperito, che le consentivano di congetturare i processi, in modo relativamente indipendente dai contenuti. Le teorizzazioni cliniche successive, per la caduta del modello pulsionale, hanno dovuto lasciare cadere i concetti processuali, ritrovandosi:
- a non possedere più dei concetti abbastanza bassi da un punto di vista gerarchico e abbastanza neutrali rispetto alla fenomenologia dei vissuti;
- a dover tuttavia mantenere concetti come identificazione, proiezione, regressione, transfert, fantasia inconscia, difesa, che dai concetti processuali traevano, però, la forza e la rilevanza;
- a dover conseguentemente privilegiare i contenuti scambiandoli spesso per processi come avviene in modo trasparente nel caso dell’identificazione proiettiva, nel revival delle spiegazioni traumatiche e, più in generale, nelle visioni teoriche fondate su gerarchie di bisogni o di motivazioni.
Torniamo a Sara. In seduta ciòche si passa èun flusso di narrazioni, interazioni e narrazioni di interazioni, verbalizzate o no. Tale flusso non èoggettivato da un osservatore terzo, neutrale - (fosse anche l’occhio di una telecamera!), - ma èinvece “soggettivizzato”dal flusso dei vissuti dei due attori che lo vivono dal loro “interno”. Conseguentemente ogni narrazione è una costruzione soggettiva nel narrante e nell’osservatore e ogni interazione èuna costruzione intersoggettiva dei due attori. Sia le costruzioni soggettive dei due narranti e osservatori sia le loro costruzioni intersoggettive avvengono nell’ADESSO. Dove sta l’ALLORA in tale adesso e in che modo modo l’ALLORA ha determinato l’ADESSO?
Sembra non possiamo piùaspettarci di trovare un ALLORA conservato immutato e immutabile, come la mummia di Ramses, in qualche angolino della mente o del cervello. Un tale ALLORA non puòessere néraggiunto nériesumato némodificato perché, in quanto fatto, non esiste più e, dunque, come amavano dire i Greci, “non lo possono cambiare neanche gli dei!”. L’ALLORA ènell’ADESSO, nelle conseguenze che determinano questo ADESSO e non un altro e, dunque, esiste e agisce nei vincoli e tramite i vincoli che determinano l’ADESSO. I vincoli fanno sì che Sara e il suo terapista non ripropongano ADESSO un vissuto soggettuale, una configurazione relazionale, dei significati, delle intenzioni, delle immagini, delle emozioni di ALLORA. Essi non costruiscono né soggettivamente né intersoggettivamente nessun ALLORA. Essi vivono ADESSO la configurazione relazionale, il significato, le intenzioni, le immagini, le emozioni di ADESSO, perché i vincoli costruiti nei rispettivi ALLORA consentono di vivere questo ADESSO e non un altro. In questo modo complesso l’ALLORA determina l’ADESSO. In modo altrettanto complesso l’ADESSO può anche modificare l’ALLORA, non entitativamente e direttamente, ma attraverso NUOVI ADESSO che possono relativizzare o sminuire la forza dei vincoli creati dall’ALLORA mediante nuovi vincoli creati dall’ADESSO.
Se l’ALLORA esiste nei vincoli che determinano l’ADESSO, si potrebbe formulare e formalizzare un concetto di vincolo a indicare un nesso stabile tra un elemento somatico-valoriale e un elemento simbolico-rappresentazionale. Tale nesso limita il ventaglio delle azioni possibili del soggetto o, persino, prescrive o inibisce una specifica azione.
Per “elemento somatico-valoriale” intendo un qualunque evento corporeo che, per il suo valore edonico positivo o negativo, può fungere da marcatura qualificante e, dunque, si tratta essenzialmente delle sensazioni della diade piacere-dolore e delle cosidette emozioni primarie (rabbia, paura, tristezza, gioia, sorpresa, disgusto,) da cui con lo sviluppo si specificheranno quelle secondarie (allegria, ansia, vergogna, gelosia, invidia, speranza, rimorso\senso di colpa, rassegnazione, perdono, offesa, delusione, disprezzo) sino ai sentimenti.
Per “elemento simbolico-rappresentazionale” intendo, invece, un elemento narrazionale che ha lasciato una memoria consapevole o inconsapevole e puòessere richiamata da uno stimolo. Lo stimolo può essere percettivo, (un oggetto, l’immagine (grafica, fotografica...) di un oggetto, un odore, un colore, il timbro di una voce, una parola o una frase detta, udita o letta, il tono di una voce.....), simbolico (il simbolo percepito di qualcosa che èstato antecedentemente percepito), onirico (un sogno, il ricordo di un sogno, il racconto di un sogno), pensato, immaginato. Puòessere semplice e diretto come in tutti i casi precedenti, o complesso e articolato (una scena, una situazione, un ambiente, un compito, un dovere, un ordine, un’aspettativa, un’attesa...). Puòessere qualcosa che sta avvenendo qui e ora, qualcosa che avverrà, qualcosa che forse accadrào che sicuramente accadrào che temo possa accadere. In ogni caso si tratta di un evento che interviene nel flusso dei vissuti e che, direttamente o indirettamente, ha o puòtrovare un antecedente nel vissuto pregresso.
Un vincolo sarebbe in sintesi uno schema fisso anticipatorio di emozione-azione, che in virtùdella marcatura emozionale, limita il ventaglio delle azioni possibili e anzi, spesso, prescrive una risposta o la inibisce, ponendosi anche come un attrattore sul piano logico, analogico o metaforico.
Un costrutto come questo si propone come una forma neutra, indipendente dal contenuto, ma capace tuttavia di esprimere qualunque contenuto, collocabile ai vari livelli della stratificazione del vissuto in senso sia temporale che funzionale e capace dunque di funzionare come mattone nelle costruzione di più complesse reti di vincoli. Da questo punto di vista il concetto di vincolo sembra in grado di unificare i territori che nella teoria tradizionale erano suddivisi tra i concetti di transfert, difesa e resistenza. Mi piace sottolineare che questo concetto, seppure in termini diversi, insiste sullo stesso tema su cui si affaticò Rapaport per oltre venti anni con il suo lavoro e con il continuo richiamo alla necessità di definire formazione, nutrimento e cambiamento delle strutture.
Prima di finire devo assolvere un compito. Il dott. Candido, raccomandandomi di salutarvi, mi ha pregato di dirvi di non badare troppo ai peli nell’uovo che il dottor Scano ama seminare e di rallegrarvi, invece, del fatto di possedere la migliore delle teorie possibili, che, dice, è cosa di grande aiuto nel lavoro clinico. Sara è una paziente e non mi ha consegnato messaggi, so però che, se avesse potuto, mi avrebbe chiesto di dirvi che il dottor Candido è certamente una splendida persona “voi però…ragazzi …bisogna vi diate da fare!”.