Presentato al Laboratorio Verona 2.0 il 18 settembre 2021.

 

Che in una stanza di analisi, accanto alla comunicazione esplicita e diretta tra i due attori, vi sia anche una comunicazione inconscia è convinzione dichiarata e corrente di tutto il popolo degli analisti. Tale solida convinzione, tuttavia, non è corroborata da una chiara e accurata descrizione del misterioso "fenomeno"; non è oggetto di precisa e puntigliosa analisi concettuale e, anzi, a dire il vero, non è neppure oggetto di particolare attenzione da parte della letteratura. E' piuttosto qualcosa di dato, noto e quasi scontato, che, più che essere considerato e studiato in quanto tale, funge preferibilmente da prezioso e ovvio terreno d'appoggio, per problematiche più dibattute e sostanziose. Nel caso concreto si tratta soprattutto del binomio transfert/controtransfert, dell'identificazione proiettiva, del campo bi-personale, della fantasia inconscia e del sogno, della rêverie o magari della sintonizzazione emotiva o dei neuroni specchio.

Una breve indagine storica può già rendere conto di questa approssimata conformazione della nozione di comunicazione inconscia.

Il primo a parlarne fu proprio Freud, che già nel 1912 in Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico scriveva: " (l’analista) deve rivolgere il proprio inconscio come un organo ricevente l’inconscio del malato che trasmette; deve disporsi rispetto all’analizzato come il ricevitore del telefono rispetto al microfono trasmittente. Come il ricevitore ritrasforma in onde sonore le oscillazioni elettriche nella linea telefonica …così l’inconscio del medico è capace di ristabilire a partire dai derivati che gli sono stati comunicati quello stesso inconscio che ha determinato le associazioni del malato (OSF, VI, p. 536-537”. Nel saggio su “L’inconscio” (1915) dirà ancora “E’ assai interessante che l’Inc di una persona possa reagire all’Inc di un’altra eludendo C. Questo fatto, pur meritando un’indagine più approfondita, specialmente nel senso di determinare se si possa escludere l’intervento di un’attività preconscia, è comunque incontestabile sotto il profilo descrittivo"(VIII, p. 78).

In realtà, questi asserti freudiani non sono così prossimi alla nozione corrente di comunicazione inconscia o comunque lo sono assai meno di quanto a prima vista non possa sembrare. Se si tiene conto del ruolo dei derivati e dell'interrogativo a riguardo del preconscio, sembra che Freud non vada poi al di là della sua basilare concezione del lavoro analitico. Certo, l'affermazione, a un tempo netta e generica, compie comunque il primo passo verso una concezione della comunicazione inconscia come "fatto" o come fenomeno "incontestabile" sotto il profilo descrittivo. A riprova di ciò, Fenichel, in un articolo di una decina di anni successivo, utilizza la nozione, corredandola di esemplificazione clinica. Freud, comunque, non da alcuna indicazione sul processo, sul come avvenga questa trasmissione, anche se afferma che il fatto meriterebbe un'indagine più approfondita soprattutto per determinare il ruolo eventuale dell'attività preconscia.

Su questa base, il secondo elemento essenziale per lo sviluppo futuro della nozione sarà apportato da Ferenczi con la sottolineatura del ruolo dell'emotività dell'analista nel processo terapeutico e, più in generale, tramite l'idea che la personalità dell'analista sia fattore e strumento di guarigione. Il che silenziosamente immette la problematica della comunicazione inconscia nell'ambito del dibattito, soprattutto futuro, del transfert e del controtransfert. Sarà una via di non ritorno.

Fu Theodor Reik a imboccare in maniera più decisa questa strada in Il terzo orecchio (1948) in cui scriveva: “L’analista sente non solo ciò che è nelle parole; egli sente anche quello che le parole non dicono. Egli ascolta con il terzo orecchio sentendo non solo ciò che il paziente dice, ma anche la propria voce interna, ciò che emerge dalle profondità del proprio inconscio…Ciò che viene detto non è la cosa più importante. A noi sembra più importante riconoscere ciò che la parola nasconde e ciò che il silenzio svela”. E ancora “…i piani dell’inconscio non sono afferrati/compresi direttamente. Il medium è l’ego, dentro cui l’inconscio dell’altra persona è introiettato. Per comprendere un altro, noi non abbiamo bisogno di esplorare la sua mente, ma di sentirlo inconsciamente nell'ego” e ancora: "Ciò che ho detto è che questi impulsi inconsci nella mente dell’uno inducono impulsi dello stesso tipo nella mente dell’altro in questo caso nell’analista!".

Fin qui si tratta essenzialmente di sviluppi che allargano il primissimo asserto freudiano: l'inconscio del P (emittente) trasmette all'inconscio del T (ricevente), ma che arriveranno presto a una conclusione non irrilevante, anche se stupefacente e cioè che da questa trasmissione l'analista può ricavare dati ed elementi per ottenere degli insight. Fu la Heinman nel suo noto saggio sul controtransfert (1950), a concludere che visto che il controtransfert è l’effetto del desiderio inconscio del paziente di trasferire sull’analista affetti che egli non può riconoscere, né sperimentare come propri, l’analista può scavare nel proprio controtransfert per avere degli insight.

In questa linea il terzo e decisivo passo, sulla base della nozione di identificazione proiettiva introdotta da M. Klein, fu compiuto da Bion, che esplicita l'idea che l'identificazione proiettiva del P influenza realmente l'analista. Considerazione che innesta automaticamente la comunicazione inconscia nell'ambito del controtransfert e che verrà categorizzato da Ogden: “l’identificazione proiettiva è intrinsecamente un concetto relativo all’interfaccia tra intra-psichico ed inter-personale, cioè il modo con cui le fantasie di una persona sono comunicate e premono per influenzare un’altra persona”.

Il passo successivo è quasi ovvio. Dato che P e T sono aggeggi della stessa marca e della stessa serie, è consequenziale aggiungere che anche l'inconscio di T è emittente e quello di P ricevente. Questo ulteriore passo, che avviene comunque sempre nell'alveo della deriva bioniana, è stato compiuto essenzialmente dai Baranger: quando (il contotransfert) acquista lo stesso valore teorico e tecnico del transfert, la situazione analitica si configura come un campo dinamico bi-personale, e i fenomeni che si verificano è necessario formularli in termini bi-personali. Così essi giungono a ridefinire la fantasia inconscia, che non può essere considerata la somma delle due situazioni interne. Essa è qualcosa creata tra due persone, all’interno dell’unità che esse formano nel momento della seduta, qualcosa di radicalmente differente da ciascuno di loro presi separatamente: "Noi definiamo la fantasia in analisi come la struttura dinamica che in ogni momento dà il significato al campo bipersonale".

Questo ulteriore sviluppo ha fortemente influito sulla psicoanalisi italiana degli ultimi due decenni. A. Ferro può così giungere a sottolineare che fin dal primo contatto telefonico e persino prima di esso, la comunicazione inconscia comincia ad organizzarsi nel paziente, nell’analista e nelle fantasie del paziente, dell’analista e della coppia. Sino alla concezione di un "inter-psichico" definito da Bolognini come un livello funzionale, pre-soggettivo dove due persone possono scambiarsi contenuti interni ed esperienze in un modo condiviso, attraverso l’uso di una “normale” identificazione proiettiva comunicativa.

Questa breve sintesi storica (che ricalca, volutamente e fedelmente, la trattazione della voce "comunicazione inconscia" del dizionario enciclopedico dell'IPA) mostra chiaramente che in definitiva la comunicazione inconscia è diventata una scorciatoia, imprevedibile e impervia, utilizzata per soccorrere l'apparato intrapsichico freudiano (la "mente isolata" di cui qualche decennio fa si parlava!), dandogli per così dire, un'apertura da sotto e dal profondo e dotandolo di una insospettata capacità di leggere suggestioni interpersonali, ottenendo così anche una qualche inter-personalizzazione (più che una vera rilettura inter-soggettiva) della psicoanalisi, restando tuttavia ben all'interno di una visione intrapsichica sia del soggetto che della pratica clinica. La seconda osservazione che si impone è che le straordinarie prestazioni della comunicazione inconscia sono semplicemente "date" e, si suppone, "provate" dai dati clinici e dall'esperienza clinica senza preoccupazione alcuna a riguardo dei processi attraverso cui tutto ciò possa avvenire e senza alcun riferimento a una teoria generale, che possa consentire un minimo di controllo, corroborazione e verifica come ci si spetterebbe da un ambito di ricerca che si vuole scientifico.

Tutto ciò a dispetto del povero Eagle, che trattando esplicitamente della identificazione proiettiva, con scarsa attenzione alla diplomazia, si limita a dire: "Parlare di una persona che mette qualcosa (ad esempio, pensieri e sentimenti) dentro a un'altra, potrebbe essere considerato delirante".

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