Valentino Cristiano mi invia una citazione di Bromberg chiedendomi di postarla sul blog perché ritiene che il testo ponga “diversi quesiti e, forse, equivoci”. Raccolgo volentieri l’invito e proverò a esplicitare qualche quesito.
“Uno dei principi fondamentali [...] sancisce che la forma dell'interazione e il significato degli affetti e delle intenzioni relazionali che regolano lo scambio scaturiscono da un processo co-creativo. I processi co-creativi producono forme uniche di stare insieme in qualsiasi relazione, non soltanto in quella madre-bambino. La co-creazione pone l'accento su cambiamenti dinamici e imprevedibili delle relazioni che sottendono la loro unicità. [...] [Il] concetto di co-creatività non implica né una serie di passi, né uno stato finale; implica piuttosto che, quando due soggetti si coinvolgono reciprocamente in uno scambio comunicativo, non è dato sapere come staranno insieme, né quali sono le dinamiche e la direzione che seguiranno; tutto questo scaturirà soltanto dalla regolazione reciproca. Quindi, mentre possiamo osservare uno scambio avvenuto e descriverlo con una narrazione, dobbiamo renderci conto che prima che esso avvenisse e durante il suo svolgimento, non esisteva alcuna narrazione o matrice a strutturare lo scambio stesso. Cogliere e rispettare questa distinzione, capire cioè che ciò che è accaduto può essere narrato, a differenza di ciò che sta accadendo, comporta conseguenze importanti ai fini della comprensione di ciò che avviene nelle relazioni, compresa la relazione terapeutica.”
“Co-creazione” implica qualcosa di diverso rispetto al più consueto “co-costruzione”? Sotto molti versi, sembra soltanto il suo gemello, solo più esplicito - (e spregiudicato!) - nel sottolineare l’aspetto d’imprevedibilità creativa, che, tuttavia, in termini più discreti, è già implicito nel più consueto “co-costruzione”.
“Co-costruzione” è termine espressivo, forse utile, ma da … maneggiare con cura a causa della sua indecisa vaghezza. Si fa apprezzare per la capacità di esprimere in modo immediato e concreto una promettente direzione di ricerca attraverso il drastico superamento di assunti tradizionali diventati obsoleti. Suggerisce, infatti, in un colpo solo, che il comportamento non è prodotto da un apparato psichico o una mente isolata, che la mente non è ristretta e contenuta nella scatola cranica, che mente, vissuto e comportamento si devono spiegare nello spazio aperto dell’interazione tra menti, che intenzioni e significati sono frutto di processi complessi e non effetto di eteree entità mentaliste. Tale ricchezza rischia, tuttavia, la mera assertività, in assenza di un’attenta e falsificabile descrizione congetturale dei processi evocati. Senza una precisa teoria che descriva e spieghi i processi, - io non la trovo! - il termine rischia di restare una réclame autoevidente o un'elegante scatola vuota facilmente usurpabile a schematico slogan, seduttivo ma inconsistente.
“Co-creazione”, il gemello più intraprendente, mostra facilmente i possibili equivoci derivanti dall’insufficiente elaborazione teorica. Bromberg scrive che “…che la forma dell'interazione e il significato degli affetti e delle intenzioni relazionali che regolano lo scambio scaturiscono da un processo co-creativo”. Certo! Non si potrebbe però contemporaneamente anche pensare che forma dell’interazione, significato degli affetti e (conseguenti) intenzioni realazionali abbiano un ruolo non secondario nella determinazione del processo stesso? Qualche indizio sulla solidità di tale congettura non sembra davvero mancare nella messe di dati forniti dalla psicologia scientifica, dalla neuro-psicologia e magari anche da cento anni di pratica clinica.
Bromberg ha sicuramente ragione nel ritenere che ogni interazione è una singolarità e che, conseguentemente è ragionevole affermare che “...quando due soggetti si coinvolgono reciprocamente in uno scambio comunicativo, non è dato sapere come staranno insieme, né quali sono le dinamiche e la direzione che seguiranno; tutto questo scaturirà soltanto dalla regolazione reciproca”. Certo. A che livello, però, tale asserto deve essere considerato vero? Al livello dell’osservatore-partecipante e, dunque, per quanto attiene alla psicoterapia, a livello puramente tecnico-relazionale? O anche al livello dell’osservatore-scienziato e, dunque, metodologico? O deve essere considerato vero in assoluto e, dunque, a livello teorico più generale? Se l’asserto è inteso come vero dal punto di vista metodologico e teorico, non si sta contemporaneamente negando ogni pretesa scientifica della psicoterapia? Se, infatti, l’esito di un processo è in assoluto imprevedibile, non può essere oggetto di indagine scientifica: la scienza è previsione confermata dall’osservazione. Il dubbio è che i processi evocati siano assai più complessi e il quadro delle variabili assai più intricato.
Bromberg spiega, infine, che “...mentre possiamo osservare uno scambio avvenuto e descriverlo con una narrazione, dobbiamo renderci conto che prima che esso avvenisse e durante il suo svolgimento, non esisteva alcuna narrazione o matrice a strutturare lo scambio stesso”. Sembra evidente! Prima e durante un’interazione non può esistere narrazione possibile di quella interazione. Si può, però, dedurne e concludere che non esisteva alcuna narrazione o matrice a strutturare lo scambio stesso? Questa deduzione è davvero logica? Questi asserti, se intesi in senso forte, non implicano, necessariamente, che l’ADESSO non è in alcun modo determinato dall’ALLORA? In realtà, da molti angolini della biblioteca delle scienze antropologiche spuntano indizi che lo “spazio tra le menti” sia, invece, assai affollato di narrazioni e matrici che strutturano lo scambio. Anche quello tra madre e bambino, per non dire di quello tra terapista e paziente.
A riguardo di molte formule che diventano virali (co-costruzione, co-creazione sintonizzazione emotiva...) sarebbe saggio interrogarsi sul “chi” e sul “cosa”: chi-co-costruisce-cosa, chi-co-crea-cosa, chi-sintonizza-cosa ... ? Forse è ingenuo pensare che il “chi” sia semplicemente il “soggetto” o la diade dei soggetti. Il “soggetto” è causa o effetto dei processi? Cos’è un soggetto senza narrazioni? e senza processi? Se si assume un “soggetto-che-causa-i-processi”, linearmente, come si può evitare il mentalismo?
La difficoltà a rispondere a queste domande è buona misura approssimata del lavoro teorico da svolgere prima di poter ragionevolmente canonizzare una qualsiasi di tali formule. E’ anche una misura di quanto sia pesante la mancanza di una teoria generale!