* testo presentato al Lab 2.0 di Verona il 20. 05. 17.
La teoria classica dell’apparato psichico (metapsicologia), su cui poggiano la teoria clinica e la concezione tradizionale del metodo analitico, è da considerare falsificata sin dagli anni ’70 in seguito alle analisi storico-critiche e teorico-critiche dei rapaportiani e alle acquisizioni delle neuroscienze sulla struttura e funzionamento del cervello reale. Ho argomentato altrove questo dato difficilmente controvertibile (Scano 1995, 2013, 2015). Il mondo psicoanalitico evitò di prendere atto del venir meno della sua base fondante e, dopo una prima indignata difesa a oltranza della teoria pulsionale, ha preferito enfatizzare il ruolo della teoria clinica e obliterare l’intera questione della teoria generale, sino a negarne necessità e consistenza (Wallerstein,1988). La più parte del mondo psicoanalitico ha così continuato, seppure con aggiustamenti e riformulazioni compromissorie (Scano, 2016), a legittimare l’azione clinica con l’armamentario concettuale della teoria classica (processi primari, rimozione, proiezione, identificazione, fantasia inconscia, transfert…) e con una sostanziale fedeltà al metodo fondato sulla triade “interpretazione → insight → cambiamento”. Tutto ciò in nome di una malintesa, irrinunciabile fedeltà a Freud, che mal si coniuga con qualsiasi metodologia e intendimento scientifico. Il risultato di questa inerziale e sorprendente deriva storica è che, di fatto, la psicoanalisi può essere considerata, oggi, una pratica clinica priva di un’effettiva teoria.
Il lavoro svolto dal “Laboratorio”, dapprima a Brescia e successivamente a Verona, partiva, invece, dall’accettazione della falsificazione della teoria classica e dalla conseguente necessità di lavorare alla costruzione di una nuova teoria. Quel lavoro quasi trentennale non ha certamente cavato dal capello il coniglio della nuova teoria generale. Ha portato però a una visione complessiva, alla delimitazione di un territorio e a una prima descrizione argomentata del campo, in cui una tale teoria potrebbe costruirsi (Scano 2013, 2015).
In questo breve testo mi ripropongo di riassumere le linee essenziali di questa prospettiva mettendo in fila, per punti e in sequenza: gli assunti generalissimi, le linee essenziali di una teoria dell’interazione terapeutica, i necessari rimandi a una teoria del soggetto e, infine, le ipotesi-guida del metodo di intervento.
a. Assunti generalissimi
L’impostazione generale della concezione freudiana della teoria e del metodo poggia necessariamente sull’epistemologia e metodologia proprie della filosofia della scienza di fine ‘800: positivista, dunque, e, per di più, nella sua più rigida accezione fisicalista. Pur con il suo oggetto “psichico”, così difforme da quello delle scienze della natura, essa si costruì nel campo dell’oggettualismo naturalista, partendo da un’epistemologia dell'oggetto osservato che istruiva una tecnica causativa in senso lineare. Questa caratterizzazione epistemologica fu favorita non poco dalla derivazione della nascente psicoanalisi dall’ambito medicale e dall’inevitabile attrazione di quel modello nel più generale processo di medicalizzazione della malattia mentale e della sofferenza psicologica, che caratterizzò la psichiatria del XIX secolo.
Rompendo drasticamente con questa desueta e lontana eredità, gli assunti generalissimi che possono istruire una visione moderna della teoria e del metodo sono tre:
1. L’ambiente ecologico, etologico e culturale, in cui vive, respira, pensa, agisce, opera, si auto-costruisce, auto-sperimenta, auto-percepisce e auto-esprime Homo Sapiens è caratterizzato dalla pervasiva e basica intersoggettività che informa e conchiude la sua “natura prima” biologica, formattandola in una sua specifica e peculiare “natura seconda” (Scano, 2013, 2015).
2. L’interazione terapeutica é di conseguenza essenzialmente intersoggettiva, irriducibile allo schema naturalistico lineare Soggetto\Oggetto // Osservatore\Osservato e tale da esigere uno schema circolare complesso in cui un soggetto osservato osserva → un soggetto osservato che osserva (Scano 2013, 2015).
3. Un cambiamento voluto potrà prodursi soltanto all’interno di tale irriducibile e complessa circolarità (Scano, 2000, 2006a).
b. L’interazione come oggetto formale di una teoria dell’interazione terapeutica
In questo quadro dichiaratamente organismico, evoluzionistico, intersoggettivo e complesso l’oggetto formale della teoria del trattamento non può essere né la freudiana “mente (relativamente) isolata” del soggetto-osservato né la “mente in relazione in senso debole”, degli “intersoggettivismi” attualmente prevalenti. Assumiamo invece che le interazioni tra un T(erapista) e un P(aziente) si auto-organizzano, in un sistema complesso (SISTEMA T\P) nel quadro delimitato e definito dalle regole del setting prescritto. Il sistema T-P non è tuttavia regolato dalle regole del setting, (che si limitano a fissare, circoscrivere e disegnare il campo), né genericamente da quelle di ciascuno dei due soggetti. Il sistema è governato invece dalle regole grammaticali e sintatiche proprie di ogni accoppiamento strutturale tra due “io” nella specificazione concreta istruita dalla narrativa culturale, biografica e personale dei due soggetti in interazione.
(NB. La nozione di “accoppiamento strutturale” (Maturana, Varela, 1985) è usata in biologia per indicare la relazione di congruenza strutturale tra un organismo e l’ambiente, in cui si realizza la sua ontogenesi, o quella esistente tra più unità cellulari, che si aggregano a formare una unità pluricellulare o, ancora, quella che si stabilisce quando due o più organismi si trovano nel corso della loro ontogenesi a costituire (a essere immersi in) una rete di interazioni ricorrenti e stabili sino a formare sistemi o unità di un livello ulteriore e specificamente “sociale”).
Ne consegue che:
- L’interazione e il sistema di interazioni, che in quanto sequenza di eventi costruiscono una storia e in quanto sequenza di eventi narrati costruiscono una narrativa, è ciò attraverso cui si realizza il cambiamento. L’interazione tra T e P si pone, dunque, come l’effettivo oggetto formale della teoria (Scano, 2006a);
- Il processo, attraverso cui si realizza il cambiamento voluto, non è governato dalle regole del “setting prescritto”, ma da quelle più sotterranee del “setting reale”, che si stabilisce e auto-costruisce nel fluire dell’interazione tra le rispettive catene di vincoli dei due soggetti nel quadro più generale della grammatica e sintassi di ogni accoppiamento strutturale e nella scena spazio-temporale del setting prescritto;
- Ogni interazione ha una duplice valenza: a) in quanto evento e storia (interazione); b) in quanto evento narrato (meta-interazione). Ogni interazione deve essere dunque considerata da punto di vista interattivo e meta-interattivo. I due punti di vista definiscono due differenti domini e due differenti campi di variabili: il dominio delle variabili interattive e il dominio della variabili meta-interattive. Le prime sono proprie di ogni interazione tra soggetti, le seconde caratterizzano l’interazione in quanto “terapeutica” e definiscono i fattori specificamente tecnici e clinici (Scano, 2006a, 2013);
- La proprietà fondamentale dell’interazione è che essa avviene e non può essere cancellata o modificata da una successiva meta-interazione, che la può tradire o falsare, ma non rendere non avvenuta, contemporaneamente, però, essa non può essere colta e raccontata, a se stessi o a un altro, se non tramite una operazione meta-interattiva;
- La proprietà fondamentale della meta-interazione, invece, è che essa implica sempre e comunque un’interazione a prescindere dall’intenzionalità dell’agente. Un’interpretazione, ad esempio, al di là del contenuto, interviene come azione con suoi propri significati, che non sono necessariamente quelli previsti o voluti dall’interpretante;
- La simmetria speculare delle due leggi essenziali dell’interazione e della meta-interazione prescrive per ogni interazione terapeutica una logica invincibilmente circolare. T nella sua azione clinica e tecnica, si colloca tendenzialmente dal punto di vista esterno (meta-interazione) situandosi in una posizione analoga a quella del biologo, che studia la lumaca e seguendo una logica lineare. Egli tuttavia, consapevolmente o no, è contemporaneamente immerso nella situazione intersoggettiva, in cui si muove, interagisce e conosce secondo una posizione e un’epistemologia autonoma sia in quanto soggetto interagente sia come sottosistema del sistema complessivo T\P. Benché assuma, infatti, un punto di vista esterno (rispetto alla diade, al paziente e a se stesso), sotto molti aspetti analogo a quello dell’osservatore-scienziato, egli si trova, tuttavia, inesorabilmente collocato all’interno per quanto attiene a se stesso e per quanto attiene alla diade così che funziona, consapevolmente o suo malgrado, secondo la logica circolare propria di ogni interazione intersoggettuale (Scano, 2006a, 2013);
- T non può cambiare P per causalità lineare diretta o di contatto (salvo per aspetti relativi a conoscenza di dati e apprendimento di procedure). Il cambiamento voluto dovrà conseguentemente essere inteso come il risultato di una processualità complessa e come possibilità emergente nella co-evoluzione del sottosistema P nell’ambito dell’evoluzione e ri-organizzazione complessiva del sistema T\P;
- Il sistema T\P, come tutti gli organismi e i sistemi di organismi, ha una specifica epistemologia autonoma, interna, cioè il suo proprio modo di conoscere\cambiare, ma è passibile di studio da un punto di vista esterno e a partire da una epistemologia eteronoma.
c. I sottosistemi P e T:
La psicoanalisi classica, a causa dei già ricordati vincoli epistemologici e storico-culturali , non poteva dotarsi di una vera, esplicita teoria del soggetto, che era suffragata da una meccanicistica “teoria dell’apparato” (la “macchina” psichica che “produce” il comportamento), cui di solito si fa riferimento con il termine di metapsicologia. Essa istruiva e giustificava la teoria clinica e la teoria della tecnica. La falsificazione della teoria dell’apparato avrebbe dovuto aprire la strada alla formulazione di una più coerente teoria del soggetto, cui, seppure in modo ambiguo e non dichiarato, sembravano tendere le formule spesso confuse della galassia teorica nota come relazional-oggettuale. A oggi, non sembra potersi intravedere all’orizzonte una compiuta e condivisa teoria della soggettività. La costruzione di una tale teoria non è compito di una teoria del trattamento, che tuttavia deve necessariamente farvi riferimento dato che T e P sono sistemi intersoggettuali/soggettuali, che formano un sistema intersoggettuale/soggettuale. Ho descritto altrove le linee generali di una possibile teoria del soggetto (Scano, 2015, pp.159-301). Qui ci si può attenere a questi sintetici assunti e asserti essenziali:
- La soggettualità nelle sue molteplici realizzazioni, da quella elementare del batterio o del paramecio sino al modo “umano di essere un soggetto”, è il format generale della vita in questo pianeta. Disponendo di un cervello-che-costruisce-una-mente, homo realizza la sua soggettualità auto-riflessiva e auto-cosciente con la costruzione di un “Io della mente” (Scano, 2008, 2013, 2015).
- L’io della mente, in ultima analisi, è la capacità di distinguere nell’osservazione l’osservatore dall’osservato, sapendo svolgere contemporaneamente il ruolo dell’osservatore e dell’osservato (Scano, 2015). Tale capacità divenne possibile con l’acquisizione del linguaggio flessibile, che comparve, sembra, tra i 100.000 e i 50.000 anni fa.
- La soggettualità non nasce in un luogo virtuale o sostanziale (mente, anima...) ma in un corpo cui il cervello “pone mente” (Damasio). La mente è la “mente del corpo”. Cfr. Scano, 2015.
- A partire da queste premesse il soggetto appare come l’aprirsi di un punto di vista e di un irripetibile punto di osservazione nell’orizzonte eco-eto-intersoggettivo umano, da cui guardare, osservare e costruire il suo mondo. La persistenza nel tempo del punto di vista, della prospettiva e delle narrazioni, grazie alla memoria e al flusso continuo del racconto, fa emergere il protagonista della biografia: l'io-me. L’Io (la soggettività) nasce, dunque, nell’intersezione di un organismo con l’intersoggettività e si auto-costruisce come interfaccia tra l’unità dell’organismo e la totalità dell’universo intersoggettivo e “oggettivo”(ib.).
- Tale interfaccia ha un suo punto di gravità interno, epistemico e narrativo (biografia narrata) e una sua postazione osservazionale, che con l’esercizio dei processi organismici costruisce un irripetibile Io-me. Conseguentemente, la soggettività può essere descritta come l’intersoggettività osservata, incarnata da un soggetto che si osserva, costruisce e organizza affidando il mantenimento della propria coerenza operazionale nell'ambito semantico, linguistico, sociale e culturale a ciò che indichiamo come Io o come l'ambito di esperienza di un organismo che, guardando alla continuità sequenziale dei suoi vissuti, utilizza il pronome "io" per designare il protagonista di tale biografia come agente attivo o passivo delle azioni indicate da tutti i verbi che ha usato e userà in prima persona.
- Da questo punto di vista il me, come coscienza globale del corpo e dell’intero organismo, è essenziale per l’Io, per il quale, invece, è essenziale il linguaggio, che, promuovendo l’io a soggetto della frase, veicola il me come soggetto dell’azioneoggettivandolo nell'auto-coscienza (ib.).
- L’Io della mente, da un lato, è effetto e conseguenza dei processi, dall’altro, grazie al meta-posizionamento consentito dal linguaggio, è un osservatore, che si delimita dall’ambiente e si racconta gli eventi, guidandoli attraverso l’azione intenzionale (ib.).
- L’io si costruisce tramite regole di costruzione valide per tutti i membri della specie Homo. Tale sistema di regole è determinato a) dalla struttura e dal funzionamento del cervello; b) dall’ambiente fisico in interazione con il quale tale cervello si è evoluto; c) dall’ambiente umano in cui insieme alla evoluzione stessa della specie sono co-evoluti l’ambiente umano e il cervello umano; d) dalle strutture specifiche dell’ambiente antropizzato, in cui evolve ogni cucciolo di sapiens.
- Ogni particolare "Io della mente", pur costruito secondo regole universali, costituisce una singolarità, che si differenzia da ogni altra in virtù della storia particolare propria di quel singolo soggetto nel contesto sociale, geografico, storico e culturale in cui nasce e si svolge la sua esistenza.
- I mattoni essenziali di cui si compone ogni Io sono: la memoria, le emozioni, il sistema di regolazione emotiva, l’auto-etero regolazione guidata da tale sistema, la costruzione di mappe e schemi di azione, il linguaggio, la giunzione tra l’Io linguistico e il Me corporeo, l’attitudine metaforica nel quadro dell’insieme delle conoscenze che mutua dall’ambiente e che per lo più ha ereditato dagli “io” che lo hanno preceduto (ib.).
- La costruzione dell’io della mente coincide in gran parte con l'organizzazione del sistema intenzionale, che procede con lo sviluppo delle emozioni secondarie e dei sentimenti dallo spettro delle emozioni primarie. Tale sviluppo avviene con la formazione di vincoli, cioè con lo stabilirsi di nessi stabili tra uno stato del corpo esperito e uno stimolo in entrata. Le interazioni con stimoli percettivi e, in generale con situazioni, persone, eventi e oggetti, vengono categorizzate nei termini della loro conseguenza somatica ed emozionale. Ogni soggetto consta, dunque, di una enciclopedia di nessi emozionalmente marcati, fissati nella memoria del vissuto, tra stati del corpo positivi o negativi ed eventi, accadimenti, scenari, situazioni, esiti, che anticipa il risultato emozionale di un’eventuale interazione con tali eventi, soggetti, oggetti, e situazioni. La disponibilità in linea di questi nessi marcati funziona come un filtro di previsione\valutazione e consente una continua attività di attribuzione di significato e di anticipazione per evenienze che, in quanto tali, sarebbero imprevedibili per il genoma, funzionando come incentivo, campanello di allarme o segnale di stop (Scano, 2008c, 2013, 2015).
- Questa griglia di valutazione e lettura degli stimoli, eventi e configurazioni, (ma anche dell’esito anticipato delle azioni stesse dell'organismo) esplora e valuta a tutto campo l'orizzonte del soggetto e ne modella l’intenzionalità. Questa sottostante attività corporea di significazione, che anima intenzioni, motivazioni e azioni, costituisce il sostrato narrante nella tessitura dell’Io della mente. Così, se osserviamo dal basso la costruzione dell’Io nella complessiva organizzazione organismica, possiamo identificare e distinguere una totalità narrante, a indicare che tutto quanto è io-me è effetto dei processi globali dell’ organismo e un vissuto narrato a indicare che, contemporaneamente, tutto quanto è io è opera di narrazione e linguaggio. Si può indicare il primo punto di vista come totalità narrante, il secondo come Io narrato (ib.).
- Momento cruciale di tale costruzione è la giunzione tra l’io narrato (il personaggio e l’autore delle narrazioni) e il “me corporeo". Tale giunzione avviene nel contesto biologicamente e culturalmente vincolato della situazione di accudimento che indirizza, organizza, governa e realizza l’innesto tra processi e linguaggio, coniugando corporeità e soggettività con la formazione dell’Io della mente, che si costruisce nell’accoppiamento strutturale. Il rapporto bimbo-madre anticipa, esemplifica, indirizza e realizza l’aggancio tra i processi organismici somaticamente percepiti dal bimbo e il linguaggio nel persistente e continuo intrecciarsi del processuale, corporeo, emozionale e azionale relazionarsi del bimbo e del corporeo, emozionale, azionale, linguistico-verbale e culturale relazionarsi della madre (ib.).
- Questa giunzione si realizza grazie al flusso linguistico-narrazionale della madre, che incessantemente narra, (in prima, seconda e terza persona) le gesta, le azioni e i vissuti del il bimbo, che parallelamente sperimenta per via corporea quanto la madre narra in parole. Questa reiterata interazione realizza una sequenza ininterrotta di frasi azionali, in cui il bimbo è posto come soggetto di una frase, in cui il verbo è rappresentato dal concreto agire del bimbo e il soggetto dal suo vissuto corporeo, progressivamente segmentato dalla narrazione materna attraverso la costante lettura delle espressioni sensoriali, emozionali e azionali e il rimando sia al codice linguistico e culturale sia al suo stesso codice corporeo emozionale. Per esempio, “Maria mangia o sorride o piange”, detto in lingua nella narrazione materna, si pone come una frase-azione, in cui il soggetto è il flusso segmentato del vissuto corporeo, corrispondente al mangiare, sorridere e piangere, mentre il verbo è l’effettiva azione compiuta del sorridere, piangere o mangiare, vissuto e percepito dall’interno e dal basso. In questi verbi-azione-frase, cioè, le sensazioni e gli stati del me si connettono nel raccontare della madre alle posizioni formali del soggetto e dell’oggetto mentre lo stato interno del bimbo è connesso al soggetto e all'oggetto tramite la mediazione delle cose dette e indicate all’’interno di un’anticipazione corporea della struttura formale della frase (ib.).
- L’ organizzazione del sistema intenzionale (consapevole e inconsapevole), che costruisce i significati e innesca l'azione del soggetto, è regolato da una grammatica neuro-biologica e da una sintassi intersoggettiva. La grammatica è costituita dal funzionamento della coppia piacere/dolore e dalle reazioni del sistema delle emozioni primarie, che automaticamente attribuisce un significato corporeo agli eventi, connotando secondo regole fissate dall’evoluzione i valori primari del piacere, del dolore, della paura, della rabbia, della gioia, della sorpresa e del disgusto. Il sistema delle emozioni si pone, quindi, come una sorta di grammatica, perché consente di identificare, costruire, scambiare – con sé e con gli altri – questo genere di significati, istruendo una semantica e una pragmatica elementari. La grammatica delle emozioni precisa, invece, la sua sintassi nell’ambito di una sorta di bio-sociologia basica, che riflette i vincoli e le possibilità d’incontro\scontro tra gli individui della specie. Essa si costruisce, infatti, con la specificazione delle regole, che governano la declinazione del linguaggio emozionale nell’ambito del rapporto tra il singolo individuo e gli altri membri a lui prossimi della specie, determinando concretamente in tal modo lo sviluppo delle emozioni secondarie specificamente sociali e intersoggettive (ansia, vergogna, gelosia, invidia, speranza, rimorso, senso di colpa, rassegnazione, perdono, offesa, delusione, disprezzo…). Tali regole coordinano il significato emozionale e corporeo del soggetto con la corrispettiva dinamica emozionale degli altri soggetti nell’ambito e nell’esercizio di scene e canovacci relazionali, determinati dalla struttura elementare della socialità umana, preformata dalla biologia sociale della specie, ma formattata nella cultura complessiva, in cui si svolgono le interazioni specifiche di quel soggetto. I due sistemi di regole, benché profondamente embricati tra loro, agiscono diversamente: il primo sistema – diciamo la grammatica – è di marca corporea e auto-centrica e determina vincoli nell’anticipazione di significato in termini di peso e valore di uno stimolo o di un pattern relazionale, determinati dalla diretta e semplice marcatura corporea; la seconda, invece, – diciamo la sintassi – prende forma dal confronto tra il peso e valore attribuito da un soggetto e quello attribuito dagli altri soggetti, con cui si trova a contatto e in cui, dunque, l’attribuzione del significato corporeo deve inserirsi in canovacci e scene accettate, per evitare che la frase, che si costruisce – l’azione che si propone, – sia considerata erronea dall’altro e punita con un peso e un valore negativi, che potrebbero contraddire la semplice marcatura emozionale diretta. I due sistemi, profondamente embricati, costituiscono il cardine della regolazione del me (self-regulation) nella regolazione del noi (interpersonal-regulation).
- Questa concezione del sistema intenzionale, del suo sviluppo e del suo funzionamento, (in connessione con l’attitudine metaforica della mente), sembra poter occupare in una teoria del soggetto il ruolo e i compiti svolti nella teoria classica dal concetto di inconscio.
d. il contesto soggettuale e il concetto di vincolo
Se la soggettività è l’auto-costituirsi di un punto di vista in cui e da cui un soggetto-narrante si auto-racconta, allora il suo vissuto e il suo raccontarsi saranno modellati dal punto di vista e da un costante lavoro di contestualizzazione, determinato dalle regole della sua organizzazione e, in concreto, dal conseguente fissarsi di vincoli, di catene di vincoli e di una organizzazione gerachica di vincoli. Chiamiamo “contesto soggettuale” (Scano, 2012) l’organizzazione specifica del punto di vista soggettuale propria di ogni soggetto in conseguenza dell’esercizio di questo set di regole e dei vincoli che esse hanno prodotto e producono nel fluire del vissuto e dell’esperire. Tale nozione ricopre l’area occupata nella teoria classica dal transfert, ma anche dalla resistenza e dalla difesa. Non si tratta di un contesto lineare, ma di un costante e stratificato esercizio di contestualizzazione, che costruisce il vissuto, il racconto del vissuto pregresso, la lettura del mondo interazionale, la costruzione dell’azione, la progettazione del futuro.
La più parte del cono del contesto soggettuale è costituito da significati attivi, (perché regolano le emozioni, innescano azioni, danno origine a progetti, teorie e intenzioni), ma, non dicibili: sono “significati senza parola”. Tale zona oscura del cono del contesto soggettuale è costituita da nessi vincolati e marcati emozionalmente, ma inaccessibili alla coscienza. Tali strutture emozionali vincolate e marcate si organizzano a costituire sistemi di categorizzazione per la processazione del vissuto che determinano le aspettative desiderate o temute, innescano l’intenzionalità consapevole e inconsapevole e, in ultima analisi, governano l’azione e il comportamento complessivo del soggetto. Le strutture emozionalmente marcate (vincoli) possono dare vita, al livello delle narrazioni più prossime alla coscienza o dichiaratamente coscienti, a convinzioni e teorie relative al funzionamento della mente (propria e altrui), che guidano il comportamento intenzionale sia consapevole che inconsapevole.
La struttura e il concreto funzionamento del contesto soggettuale nella regolazione dell’intenzionalità e dell’azione del soggetto è determinata dai vincoli, dalla loro stratificazione gerarchica e dalla costante attività attrattiva nei confronti della stimolazione in entrata e della valutazione delle azioni in uscita. Il termine “vincolo” indica semplicemente un nesso stabile che si stabilisce tra un elemento somatico-valoriale (dolore, piacere, emozione, emozione derivata, sentimento) e un elemento simbolico-rappresentazionale. Tale nesso determina un significato e istruisce (e talvolta prescrive) un’azione. In definitiva dunque un vincolo è uno schema stabile tra una percezione, un’emozione e un’azione.
Per “elemento somatico-valoriale” si intende un qualunque evento corporeo che, per il suo valore edonico positivo o negativo, può fungere da marcatura qualificante e, dunque, si tratta essenzialmente delle sensazioni della diade piacere-dolore e delle cosidette emozioni primarie, da cui con lo sviluppo si specificheranno quelle secondarie sino ai sentimenti. Tali eventi corporei hanno un ruolo essenziale nella regolazione organismica e nel processo di attribuzione del significato. Il modo più semplice di indicare, invece, l’elemento simbolico-rappresentazionale, è quello di utilizzare il semplice termine “ricordo”, non nel senso corrente di “memoria rievocata o rievocabile”, ma in quello più ampio e generale di evento del vissuto che ha lasciato una memoria consapevole o inconsapevole e può essere riattivata da uno stimolo “esterno” o “interno” (sensibilizzazione).
e. Ipotesi basilari di una teoria dell’intervento terapeutico
A partire da questa visione complessiva relativa
- al sistema T/P e in particolare dall’assunto secondo cui “le interazioni tra un T(erapista) e un P(aziente) si auto-organizzano, in un sistema complesso (SISTEMA T\P) regolato dalle regole grammaticali e sintatiche che governano ogni accoppiamento strutturale tra due “io” nella specificazione concreta istruita dalla narrativa culturale, biografica e personale dei due soggetti in interazione”;
- e al sottosistema P e in particolare dall’asserto secondo cui“ l’ organizzazione soggettuale, la regolazione della sua intenzionalità e, in definitiva, il suo vissuto e la sua azione emergono da una organizzazione gerarchica di nessi marcati (vincoli), che costituiscano i mattoni essenziali dell’’intenzionalità soggettuale, della motivazione, dell’azione e, conseguentemente, della modalità specifica di costruzione del significato,
si può formulare una sequenza di ipotesi sintetiche, che disegnano gli snodi cruciali di una possibile teoria generale dell’intervento terapeutico.
1. Ipotesi I (sul cambiamento)
Il cambiamento emerge come co-evoluzione del sistema P nella evoluzione complessiva del sistema T\P. Tale evoluzione, divergente rispetto a quella inerziale del sistema, costituisce una singolarità, si verifica in conseguenza di eventi interattivi e meta-interattivi ed è funzione:
- della maggiore o minore rigidità dell’organizzazione iniziale
- di una sufficientemente positiva interazione tra il contesto soggettuale di P e il contesto soggettuale di T.
2. Ipotesi II (sull’ apertura e chiusura dei sistemi)
I sistemi P e T sono sistemi aperti, organizzazionalmente chiusi, che tendono a modificarsi, mantenendo (e per mantenere) la loro organizzazione e la loro unità di funzionamento. Tale tendenza al mantenimento dell’equilibrio sistemico poggia in ultima analisi sul sistema delle emozioni come meccanismo biologico di modulazione e controllo dello stato del corpo. Gli schemi di allontanamento dalle previsioni di emozione negativa (o stati del corpo negativi) e quelli di avvicinamento, tesi a promuovere le previsioni di emozioni positive, costituiscono in ultima analisi la tessitura portante del contesto e, per quanto attiene alla previsione di emozioni negative, funzionano secondo uno schema analogo a quello freudiano del segnale d’angoscia.
3. Ipotesi III (sull’interazione e metainterazione)
In una situazione di accoppiamento strutturale sufficientemente profonda si attiva, progressivamente e in misura variabile, dai livelli più superficiali a quelli più profondi, l’intera struttura del contesto soggettuale di P e di T e dunque l’intero ventaglio dei nessi marcati e vincolati. Il flusso effettivo delle transazioni viene continuamente processato in linea dalla attività di questa matrice complessa di attribuzione di significato, su cui l’attività meta-interattiva può intervenire solo a posteriori.
4. Ipotesi IV (sulla domanda):
P presenta, in genere in modo facilmente leggibile da parte di T, sia i suoi vincoli più superficiali (p.e. sotto forma di comportamenti più o meno coatti o come veri e propri sintomi) sia le conseguenze più massive dell’intera organizzazione vincolata (sotto forma p. e. di sofferenza psicologica, di comportamenti egodistonici, di anomalie nell’umore, nell’autonomia, nell’autostima, nella fiducia e sicurezza …). I vincoli più superficiali in genere rappresentano anche il punto di giustificazione della “domanda esplicita” e consapevole di P all’inizio del trattamento. La “domanda effettiva” può invece essere inferita da un processo di analisi della domanda che implica una più attenta percezione della gerarchia dei vincoli e la loro inferita articolazione con i deficit dell’intera organizzazione vincolata.
5. Ipotesi V (sulla resistenza)
In virtù della chiusura sistemica e del suo contesto soggettuale, P tende a leggere l’azione di T e la situazione relazionale nei termini delle anticipazioni e significati preordinati dai suoi vincoli e, più superficialmente nei termini delle sue teorie esplicite e implicite, costruendo i contesti secondo le sue modalità di significazione e giustificando in tal modo le sue azioni e i suoi vissuti. Ciò si tradurrà nel flusso delle interazioni come resistenza, che consiste nella frizione tra i contesti costruiti da P e i contesti costruiti da T.
6. Ipotesi V (sui vissuti tradizionalmente indicati come “transferali”)
Con l’approfondirsi dell’accoppiamento strutturale viene progressivamente attivata l’intera struttura del cono soggettuale e, dunque, l’intero ventaglio dei nessi marcati e degli schemi di significazione-azione, che come una sorta di monitor di controllo “legge” e dà senso a quanto avviene in superficie nella interazione avvertibile e avvertita. Man mano P risponde a ogni azione, emozione, comunicazione o comportamento (espliciti o inferiti) di T anche con le strutture più elementari del campo e cioè con l’intera enciclopedia dei suoi nessi marcati oltre che con le sue teorie e generalizzazioni esplicite o implicite. Gli elementi in genere non dicibili della parte oscura del cono soggettuale possono funzionare come un campo di metaforizzati, che istruisce una metafora “detta” o “agita”. In questo caso il vissuto, l’azione, il desiderio, l’emozione y di P sta all’azione, emozione, desiderio, scopo o comunicazione di T (percepita o attribuita a T) come il vissuto, l’azione, il desiderio, l’emozione y di P sta ad x in cui x è un elemento del campo dei metaforizzati. In questo contesto le strutture più organizzate in termini linguistici del contesto soggettuale trasformano la metafora nelle varie situazioni secondo derivati e trasformazioni, che possono appartenere al registro logico, simbolico o metaforico. Le strutture più elementari del campo rispondono, sembra, con trasformazioni che pertengono sempre e solo al registro metaforico.
7. Ipotesi VI (sulla "difesa")
Alcune di queste trasformazioni nel registro logico, simbolico o metaforico in virtù dell’esercizio possono fissarsi come modalità ripetitive o persino coatte dando luogo a una sorta di collasso del sistema di modulazione delle emozioni. Si tratta di meccanismi concettualizzati in passato come “di difesa”.
8. Ipotesi VII (fattori di cambiamento)
- del progressivo instaurarsi di un accoppiamento strutturale sufficientemente profondo da rimettere in gioco i livelli sufficientemente bassi e nodali del contesto soggettuale e dei suoi vincoli;
- del progressivo approfondirsi, nel contesto di tale accoppiamento strutturale, del lavoro di identificazione e progressiva chiarificazione dei vincoli più rilevabili da un punto di vista fenomenologico e delle convinzioni (consapevoli e inconsapevoli) relative alla propria mente e all’altrui”. Tale lavoro analitico restituisce senso (rendendoli intelligibili e sensati all’interno del vissuto del soggetto) i sintomi e i comportamenti limitativi o autolesivi. Tale lavoro oltre a promuovere la “fiducia tecnica” (alleanza terapeutica) dovrebbe favorire una esperienza di “comprensione” almeno superficiale;
- del riconoscimento e della risoluzione dei problemi del processo di soluzione, cioè dei problemi introdotti dai processi che nella tradizione analitica sono indicati come “transferali”. Tale lavoro consente al terapista di “entrare nella pelle dell’altro” riconoscendo a un tempo il proprio (del T) ruolo nella costruzione dei contesti e la sua eventuale complicità nei contesti dei contesti;
- dello sforzo di disambiguazione delle metafore tramite il ricorso da parte del terapista non tanto e non solo al suo dizionario e al suo codice denotativo, ma alla sua enciclopedia e al suo codice connotativo. Tale sforzo è una effettiva azione di apertura e comprensione, che implicherà i sentimenti e le emozioni del terapista, le quali presumibilmente fungeranno da perturbazione a confronto con le teorie, le aspettative e le risposte attese da parte di P.
- Della conseguente effettiva interazione, che dovrebbe\potrebbe portare a forme negate di essere con, a nuove metafore e a nuove narrazioni presumibilmente anche attraverso “test di saggio” secondo le ipotesi di Weiss e Samson;
- L’apparizione di metafore nuove, l’esperienza di sentimenti nuovi e via via anche di emozioni nuove (nel senso di nuova associazione emozione-oggetto) dovrebbe segnare i punti di snodo del processo.
La congettura, dunque, è: 1) che l’interazione tra T e P può determinare eventi nuovi, inattesi e perturbanti al livello degli snodi semantici propri di una relazione intersoggettiva intensa; 2) che la struttura metaforica dei fenomeni cui si riferiva il termine “transfert” può consentire la produzione di un senso nuovo; 3) che le caratteristiche della metafora rendono in qualche modo dicibile il senso così costruito. La metafora interviene in questo processo sia in quanto azione (accanto a molte altre possibili forme di azione) sia in quanto meccanismo semiotico.