Esiste davvero un "fenomeno" che possa essere indicato con il cartellino "comunicazione inconscia"? Che cosa e in che modo si potrà mai "comunicare inconsciamente"? A partire da quale teoria? Attraverso quali processi?
Affermare che un T e un P in una stanza di consultazione, (ma anche due persone nello scompartimento di un treno, in un salotto, in una camera da letto, davanti a una birra...), comunicano, oltre che in modo esplicito e riflesso, anche inconsciamente, non è, in realtà, scoperta sconvolgente che evidenzi un fenomeno delimitabile come particolare, nuovo, profondo, misterioso e oscuro. Sotto molti aspetti è più che altro una scoperta dell'acqua calda. Anche la semplice pragmatica della comunicazione mostra un livello occulto della comunicazione che può e, in genere, è inconsapevole tanto nell'emittente che nel ricevente. Anche nel più semplice: "passami il sale!" c'è una ... comunicazione inconscia!
Questa considerazione può sembrare una banalizzazione. Non lo è. E' invece un campanello d'allarme che può indurre a interrogarsi sulla differenza, che potrebbe essere rilevante, tra l'assumere la comunicazione inconscia tra due soggetti come fenomeno, come "cosa", come evento mirabile e misterioso raccontato avvenire nell'hic et nunc e studiarla invece come processo in cui sono in gioco "n elevato n" variabili. Se si affronta, infatti, il problema tradizionale della comunicazione inconscia a partire dal presupposto che ogni comunicazione tra soggetti avviene all'interno di un'interazione complessa, tra due totalità complesse, in cui
- ciò che può essere definito "cosciente" è solo la punta emergente di una massa stratificata di processi del tutto inconsapevoli,
- in cui tanto l'emittente quanto il ricevente sono una "lingua" e un "orecchio" formattati, oltre che dalla natura prima e dalla natura seconda, dalla storia e dai vincoli non semplicemente "culturali", ma idiosincraticamente determinati dalla singola e irripetibile storia di ogni singolo soggetto,
- e in cui l'Io cosciente non è il boss che dirige l'intenzionalità della totalità, ma è in gran parte diretto dalla processuale intenzionalità della totalità,
allora dire che tra due soggetti c'è un ampio spazio grigio di comunicazione inconscia è la scoperta dell'acqua calda, salvo precisare però che in questa acqua calda il termine "inconscio" è un semplice aggettivo che significa soltanto "non consapevolmente comunicato".
A creare il problema (e anche una nebulosa confusione) nell'ambito della comunicazione inconscia non è la "cosa", il fatto che in qualunque interazione la comunicazione esplicita poggia ed emerge in una nuvola di comunicazione inconsapevole, quanto piuttosto la delimitazione di questo fatto come un "fenomeno" specifico, all'interno di un contesto particolare (la situazione analitica) e di un punto di vista che lo inquadra e giustifica nel quadro di una teoria che descrive e spiega in termini totalizzanti il comportamento dei due soggetti coinvolti in quella concreta interazione. In concreto, ciò che trasforma la "cosa" ovvia in problema nebbioso e confuso è l'uso del termine "inconscio" e il significato che gli viene attribuito. Se "inconscio" non è un semplice aggettivo, che designa la qualità consapevole o inconsapevole di un qualunque dato o percezione di un dato, ma è un rimando (esplicito o allusivo) a una qualche entità preformata e strutturata che influenza, dirige, manipola il dato in uscita o in entrata, nasce il problema. Il rimando a un tale inconscio (che Freud stesso si impedì di usare come sostantivo (1915) senza peraltro riuscire a obbedirsi!) trasforma una modalità generale della interazione umana in un "fenomeno" particolare, che avviene, con caratteristiche specifiche sue proprie, nella situazione analitica concreta.
In questo modo si crea non solo un problema, ma un groviglio e un equivoco che fanno della comunicazione inconscia un oggetto confuso di cui è persino difficile parlare. Il rimando a un "inconscio sostantivo" è infatti semplicemente dato, supposto, non giustificato sul piano teorico-critico e storico-critico. Per questo è difficile immaginare una discussione produttiva sulla comunicazione inconscia con un neo-bioniano o con un tifoso dell'identificazione proiettiva perché, benché paradossalmente si possa essere del tutto d'accordo sulla "cosa", e cioè sul fatto che la comunicazione esplicita poggia ed emerge in una nuvola di comunicazione inconsapevole, ci si troverebbe a parlare l'uno l'arabo e l'altro l'italiano, a causa della lettura della "cosa" nel quadro di due differenti lingue teoriche.
Per chi volesse limitarsi a parlare correttamente italiano si può con un minimo di analisi logica, cercare di fare chiarezza in questa babele linguistico-teorica, distinguendo i vari livelli in cui la comunicazione inconscia può collocarsi sul piano teorico.
- Anzittutto c'è la "cosa" ed è semplice da esprimere: la comunicazione esplicita, riflessa e consapevole sembra sottendere e magari anche emergere in e da una nuvola di comunicazione inconsapevole.
- La "cosa" così genericamente delimitata non è un fenomeno direttamente osservabile, di cui si possa descrivere profilo, struttura, caratteristiche e comportamento con la semplice osservazione, come si può fare con un coniglio o una lumaca. Se, dunque, si desidera conoscere una tale "cosa" non accessibile all'osservazione diretta è inevitabile e necessario spendere un lavoro teorico, formulando ipotesi e congetture da confermare o disconfermare a partire da una quadro o modello teorico. E' il genere di lavoro necessario in tutti quei casi in cui si vuole conoscere qualcosa di non immediatamente accessibile all'osservazione.
- Si tratterà di avanzare, dunque, ipotesi e congetture sulla natura e funzionamento della "cosa": si manifesta soltanto nella situazione analitica o in tutte le interazioni umane? Come può essere descritto e definito a partire da un modello teorico, (già esistente, da costruire o da ri-costruire), del soggetto, dell'interazione e della comunicazione? Che rapporto questa comunicazione inconscia intrattiene con la comunicazione consapevole? E questa è una piantina che germoglia in modo autonomo e indipendente in prossimità del grande baobab della comunicazione inconsapevole o ha rapporti molto più complicati perché il baobab e la piantina gracile hanno le stesse radici e sono variamente interconnesse? Insomma il problema teorico è quello più generale del ruolo e funzionamento generale della comunicazione inconsapevole nelle interazioni umane, all'interno di una teoria generale intersoggettiva dell'interazione.
- Naturalmente, ma in modo logicamente successivo e subalterno, si porrà anche il problema più specifico del ruolo e funzione della comunicazione inconscia in quella particolare sottoclasse delle interazioni umane che chiamiamo "interazioni terapeutiche" o "analitiche".
Questa impostazione del livello di teoria relativo alla comunicazione inconscia è logicamente prioritario rispetto al livello di teoria che si può intuire dalla breve introduzione storica che ho abbozzato e che sembra emergere dal dibattito teorico-clinico corrente. Prioritario e logicamente differente. Cerchiamo allora di decrittare la lingua del nostro virtuale antagonista per esplicitarne il terreno teorico in cui coltiva la sua comunicazione inconscia.
- A prescindere dal fatto che egli ritenga o no che la comunicazione inconsapevole sia una caratteristica generalizzata di tutte le interazioni umane, egli si preoccupa solo della comunicazione inconscia nella situazione analitica tra un analista e un analizzando, considerandolo, che lo dica o no, un "fenomeno" che si verifica tra le quattro pareti dello studio.
- Considera il "fenomeno", lo studia, lo descrive e se ne serve all'interno di quel contesto teorico, che chiama "teoria psicoanalitica", in cui il termine "inconscio" non è un semplice sinonimo di "inconsapevole", ma rimanda, in modo dichiarato o meno, a forze, intenzioni, desideri, fantasie che costituiscono un inconscio (sostantivo) la cui natura attività e funzione fu descritta ormai più di un secolo fa da S. Freud e sulla cui validità occorrerebbe pronunciarsi criticamente, visto che sono in molti a pensare che quel modello esige un cervello differente da quello di Homo sapiens. Cosa che in genere viene del tutto evitata.
- Che il nostro contendente consideri ancora valida la teoria dell'apparato (metapsicologia) o la ritenga, magari silenziosamente e in modo non dichiarato, desueta sembra essere del tutto irrilevante perché in ogni caso, l'inconscio cui fa riferimento funziona secondo le modalità che erano state codificate da quell'apparato e sono garantite da prove e dati ricavati dall'esercizio del metodo costruito proprio a partire dalla struttura e funzionamento di quell'apparato.
- L'apparato era una teoria processuale che intendeva descrivere e spiegare i comportamenti e (dunque anche la comunicazione) in termini di processi, ma ormai da almeno 30 anni nessuno se ne serve esplicitamente per questo genere di spiegazione e validazione congetturale. Di conseguenza il cultore della comunicazione inconscia in senso stretto (comunicazione diretta da inconscio a inconscio) si limita a osservare e utilizzare le funzioni e azioni della comunicazione inconscia senza preoccuparsi di spiegare il "come" e il "perché".
Si capisce quindi che le due lingue sono diverse e che è difficile discutere se uno parla italiano e l'altro arabo o cinese. Si comincia però anche a capire perché il tema sia scivoloso, sfuggente e impalpabile.
Un ascoltatore scettico, sentendo e considerando gli asserti dei cultori della comunicazione inconscia potrebbe trovarli troppo oscuri (come avviene questa comunicazione? Non è una specie di impensabile e misterioso contagio psichico?), magici (come si può immettere inconsciamente in un altro un contenuto, un'emozione, un desiderio?) o persino mistici (cosa sarà mai una fantasia inconscia creata tra due persone, all’interno dell’unità che esse formano nel momento della seduta?), ma le sue istanze critiche e scettiche non serviranno a creare dubbi o interrogativi nel nostro virtuale antagonista. Egli infatti troverà questo alone misterioso della comunicazione inconscia come l'ovvio e logico risultato della sua incommensurabile profondità e verità che, naturalmente, risulterà profondamente e immediatamente vera per chiunque l' abbia personalmente sperimentata come analista e come analizzando.
Freud, che per quanto determinista e meccanicista (e lo ripete energicamente proprio nel saggio Telepatia e psicoanalisi) era abbastanza curioso dei fenomeni occulti. Mentre era del tutto scettico nei confronti della divinazione e previsione del futuro, lo è leggermente meno a riguardo della telepatia e della trasmissione a distanza del pensiero, non ha invece dubbi sulla comunicazione da inconscio a inconscio. In ogni caso il suo interesse per questi argomenti è strettamente legato a un atteggiamento scientifico che non vieta la ricerca anche in questi campi, ma che non transige alla necessità di accettarne i risultati siano essi coerenti o no con i desideri del ricercatore. Qualche anno fa però mi è capitato di leggere uno stupefacente articolo sulla Rivista di Psicoanalisi in cui un analista trattava tranquillamente di telepatia e di preveggenza del futuro con dovizia di dati clinici!